Stamattina tutti quanti abbiamo finalmente conosciuto “Le Donne Contadine”. Un incontro molto importante pieno di tanti stimoli che le protagoniste stesse hanno deciso di sintetizzare autonomamente illustrando da un lato la loro storia e dall’altro l’elemento che le sta più a cuore, il reddito di cura.
Tutte giù per terra
Il collettivo “Tutte giù per terra” si è formato nel luglio del 2020 in seno ad Altragricoltura e all’esperienza di Radio IàFuë PerLaTerra. Comprende contadine, braccianti, ricercatrici e animatrici innovative del mondo agricolo italiano che – nel primo appuntamento del forum “Con le contadine, rifiorisce la speranza!” – si sono ritrovate a confrontarsi su tematiche come l’assenza di adeguate politiche di genere, la subalternità delle donne, l’invisibilità del lavoro di cura e la vera e propria schiavitù subita dalla componente femminile bracciantile.
Le donne imprenditrici in agricoltura sono circa il 30% del settore in tutta Europa, con percentuali analoghe in Italia, e con punte del 35% nel Sud Italia. Statisticamente, siamo le più innovative, le più ecologiche e le più brillanti nella gestione delle aziende di tipo multifunzionale. Tuttavia, non abbiamo politiche di welfare adeguate alle nostre necessità: le carenze riscontrabili in tutto il settore agricolo (accesso al credito, formazione, etc.) pesano maggiormente sulle donne che, non essendo sostenute nel loro lavoro di cura familiare, troppo spesso sopperiscono ad enormi difficoltà solo grazie alla loro straordinaria energia.
Le donne braccianti vivono in condizioni nettamente peggiori: i dati INPS 2007-2017 sui contratti a tempo determinato ci dicono che c’è un boom dell’impiego femminile nel settore “agricoltura, caccia, pesca” pari al 211% per le sole donne, mettendoci di fronte ad una femminilizzazione del processo migratorio che, per la sua specificità, dovrebbe essere messo al centro delle politiche inerenti le migrazioni e le agromafie.
Il ruolo centrale delle donne in agricoltura e, al contempo, la marginalità che esse vivono, dal punto di vista culturale e normativo, rende necessario dunque un nuovo protagonismo e nuove forme di organizzazione che, secondo la dichiarazione politica delle donne di “La Via Campesina“, alla quale ab initio il collettivo si è richiamato, punta alla costruzione di:
- “Un femminismo contadino e popolare” da declinare sui territori e tra le donne sulla base delle specificità locali e culturali
- Consapevolezza ed emancipazione tra noi tutte che, immerse nella cultura patriarcale fino al midollo, siamo ancora prive degli strumenti per comprendere fin dove si è spinta la penetrazione della violenza di genere e più in generale della nostra subalternità
- Un metodo femminista della partecipazione e dell’elaborazione concettuale che punti a riprenderci in maniera diretta la nostra voce, ci emancipi dall’invisibilità in cui siamo relegate e che ci renda protagoniste della nostra storia e della storia della società
- Saperi legati al più specifico ruolo delle donne in agricoltura che, secondo le statistiche europee, rappresentano circa il 30% dell’imprenditoria agricola e alle quali sono maggiormente legate innovazione, cura dell’ambiente, abilità nella gestione delle imprese multifunzionali.
- Saperi legati all’agroecologia come scienza agricola della restituzione e della rigenerazione, nel pieno contemperamento di criteri di efficienza produttiva e di sostenibilità economica: in nessun caso il femminismo contadino può essere disgiunto dalla pratica agroecologica che si pone come antitesi allo sfruttamento della terra e dei corpi
- Approfondimenti in tema di agromafie, caporalato e femminilizzazione dei processi migratori che, coinvolgendo le donne braccianti in tutta Italia, dovrebbero essere al centro del dibattito politico nazionale
- Approfondimenti sul legame fortissimo insistente tra violenza di genere e violenza ambientale, troppo spesso perpetrata proprio attraverso il modello agricolo industriale
- Progettualità di rete per rinsaldare legami tra donne residenti in regioni e nazioni differenti
- Organizzazione interna basata su principi di orizzontalità nelle decisioni e nella partecipazione, utile a sviscerare le difficoltà e le positività delle esperienze agricole al femminile, a proporre pratiche e modelli alternativi e ad approfondire le dinamiche di questa società basata sulle disuguaglianze di genere
Reddito di cura
In tema di approfondimento, è risultato particolarmente necessario agli occhi di tutte le partecipanti quello sul reddito di cura che, ad oggi, è assente dal dibattito politico italiano, mentre durante il lockdown è stata una proposta lanciata attraverso un webinar e una lettera aperta a tutti i governi perché entrasse nella riflessione intorno al Green New Deal.
La proposta consiste nel riconoscere il lavoro di cura non retribuito (o mal-retribuito, e senza diritti), prevalentemente attribuito alle donne e a soggetti marginalizzati, come una funzione sociale necessaria e ineliminabile, ma al tempo stesso invisibile e ignorata dalle misure anti-crisi; persino – pensate – nel momento in cui pandemia e quarantena si traducono in un aggravio senza precedenti di tale lavoro.
Questa richiesta è ora incorporata in una nuova proposta politico-economica, il Green New Deal for Europe (GNDE), che ne fa un punto cardine del suo programma per la giustizia climatica. Finalmente la protezione delle persone e la protezione della Terra possono essere equiparate e rese prioritarie rispetto ad un mercato che non se ne fa carico. Il GNDE prevede dunque l’istituzione di un reddito per tutte/i coloro che si prendono cura delle persone, dell’ambiente urbano e rurale, e del mondo naturale.
Il GNDE propone di istituire un Reddito di Cura (Care Income) da rendere disponibile per tutte/i coloro che – non essendo formalmente salariate/i – sono impegnate/i nella cura delle persone e/o degli ambienti urbani e rurali (attraverso la difesa organizzata contro estrattivismo e degrado, ma anche le attività di riabilitazione e cura degli spazi comuni, del suolo, delle acque, del verde, della biodiversità), nell’ambito domestico tanto quanto in quello comunitario ed ecosistemico. (S. Barca, “Dentro e oltre la pandemia: pretendiamo il reddito di cura e un Green New Deal femminista“). Il collettivo “Tutte giù per terra“ si pone quindi come obiettivo l’eventuale strutturazione di una campagna mediatica utile a mettere al centro del dibattito politico e culturale italiano la proposta del Reddito di Cura.
In conclusione, riteniamo che sia importante la formazione di una consapevolezza personale e collettiva in primis su cosa significhi essere oggi donne e quindi soggetti subalterni dentro il sistema capitalistico contemporaneo; imparare a riconoscere le modalità in cui la violenza di genere viene perpetrata a tutti i livelli; collocare questa consapevolezza all’interno del mondo agricolo e organizzare le nostre rivendicazioni in maniera autonoma, forte e coraggiosa.
Ci appelliamo pertanto a tutte le donne e a tutti i soggetti marginalizzati chiedendo partecipazione attiva al collettivo e ai processi decisionali che ci riguardano in prima persona, in un cammino giovanissimo, ma non per questo meno autonomo e determinato. La costituzione dell’Alleanza per la Sovranitò Alimentare – e quindi il Seminario di Altragricoltura – si sono rivelati fondamentali per la condivisione in rete delle nostre difficoltà e del nostro punto di vista.
Siamo convinte che se non parleranno le nostre bocche altri continueranno a farlo per noi e lo faranno male, travisando la nostra essenza e la nostra complessità. Solo se saremo tante e insieme potremo riscrivere la nostra storia – e nel farlo – riscrivendo quella di tutte.