Alla Alleanza Sociale per la Sovranità Alimentare ed a quanti hanno a cuore la terra, la natura e i diritti
Lettera degli agricoltori di Altragricoltura prima dell’inizio della Marcia 2021
Il 21 giugno sono 64 giorni dopo l’inizio ufficiale del percorso che ha messo in campo la proposta di tenere la Quarta Marcia Contadina promossa da Altragricoltura nel corso dei venti anni della sua vita.
Un percorso di circa due mesi in cui la proposta è stata confrontata, discussa, elaborata, valutata. Ora, entro un mese, prenderà forma l’agenda, la forma concreta, l’organizzazione e poi ancora 40 giorni per mettere a punto i meccanismi lavorando a sviluppare un processo complesso e delicato, poi (intorno al 9 settembre) … saremo in MARCIA.
Avevamo previsto cento giorni in tutto, quando avevamo iniziato a sviluppare il percorso ma in realtà, alla fine, ne avremo concretamente impegnati quasi il doppio: 190 giorni, oltre sei mesi. Sei mesi di lavoro, confronto, discussioni, cambiamenti per obiettivi chiari che, fin dall’inizio, non sono mai cambiati.
Obiettivi che ci detta lacondizione reale che stiamo attraversando nelle campagne italiane e lo stato dello sviluppo del movimento e del suo progetto.
Nelle campagne italiane e nelle aree costiere si è chiusa una fase: l’agricoltura e la pesca produttive, frutto di una storia millenaria che hanno fatto del Paese uno straordinario luogo di produzione del cibo e del lavoro della terra e nel mare, inestricabilmente legate alle culture del cibo ed alla costituzione di un paesaggio unico, ricco e diverso nel centro del Mediterraneo, sono uscite stravolte dall’impatto con la “cura” della globalizzazione neoliberista somministrata con dosi da cavallo dai teorici delle liberalizzazioni e della modernità.
Nel corso di venticinque anni l’Italia si è trasformata da grande luogo di produzione del cibo in una enorme piattaforma commerciale con il Made in Italy strumento sofisticato della propaganda utile a garantire i profitti per i nuovi feudatari: i detentori dei marchi speculativi. Se nel pomodoro o nella pasta o nel tonno in scatola, vanto della nostra tradizione utili alle campagne pubblicitarie nel mondo in cui la finanza investe grandi capitali, non c’è più il frutto del lavoro nelle nostre campagne o nel nostro mare o, quando c’è, se c’è solo alla condizione di adattarsi al punto più basso di qualità e reddito imposto da una globalizzazione che produce ovunque costi meno per vendere ovunque sia più vantaggioso, niente paura: è la modernità che avanza.
Ci abbiamo perso in tanti, ci abbiamo perso come cittadini e come Paese; mentre pochi si arricchivano. Aziende che hanno chiuso sotto i colpi del sovraindebitamento, lavoratori che non trovano più lavoro, prezzi ambientali grandissimi, cittadini sempre più esposti ad un cibo industriale distribuito da una GdO capace di drenare risorse, imporre prezzi, accumulare fortune senza garantire la qualità del cibo e il diritto dei cittadini.
In quindi anni abbiamo perso milioni di aziende, smantellato la flotta peschereccia artigianale, fiaccato i diritti del lavoro mentre il MULINO BIANCO DELL?ITALIA CHE ESPORTA va a gonfie vele, cosi come vanno a gonfie vele gli interessi di chi vende il cibo nelle catene della Grande Distribuzione, un cibo, evidentemente, che ha sempre meno legami col territorio e che arriva da ovunque nel mondo costi poco produrlo anche se al prezzo di sfruttamento del lavoro e di grandi problemi ambientali.
Ma questa ormai è storia, una storia che abbiamo denunciato fin dal suo inizio in tempi non sospetti a costo di essere bollati come provocatori dagli esegeti della competizione sul mercato, da propagandisti di ogni risma pronti in realtà ad approfittare della situazione a volte essendo profondamente consapevoli, a volte illudendosi che avevamo torto.
Noi (e non solo noi per fortuna) abbiamo resistito nonostante loro ed oggi siamo qui, in un mondo che comunque è profondamente cambiato. Oggi nelle terre svuotate dal lavoro e dalle comunità rurali e costiere, nel mare attraversato dai peschereggi industriali delle flotte finanziate dalla speculazione, i rischi sono altri e investono direttamente tutti i cittadini.
Cosa sarà delle aree rurali del Paese e del suo Mare? I dati ci dicono che entro pochi decenni il 70% della popolazione italiana vivrà nelle città e nell’enorme territorio rurale rimarrà solo il 30% della popolazione? A cosa servirà questo enorme spazio? Il rischio vero che si sta manifestando sempre più evidentemente è che le aree rurali serviranno solo ad alimentare i bisogni di un modello urbano fondato sulla insostenibilità. Se dovesse accadere, lo scenario sarebbe davvero inquietante: le comunità delle aree rurali non avrebbero più una dignità autonoma ma sarebbero solo dei presidi del nuovo medioevo moderno in cui i servi della gleba saranno obbligati a “regalare” il proprio spazio a faccendieri di ogni risma mediatori e fornitori delle nuove merci per le megalopoli e le nuove merci sono, soprattutto, immateriali.
Sta già accadendo, non è fantascienza o millenarismo. Sta accadendo che in queste settimane le nostre campagne e il nostro mare sono investite da una fortissima azione di “compratori” che per una manciata di collanine cercano di approfittare della crisi e della perdita di valore delle terre per assicurarsi il controllo e impiantarvi impianti industriali di produzione di energie o per stoccarvi gli scarti e i rifiuti del ciclo industriale o delle città.
Il rischio grande è qui, davanti a noi: dopo che le terre si sono svuotate e dopo che si è svuotato il valore del lavoro e della produzione, dopo che si è svuotato di significati il rapporto del cibo col territorio e le comunità ora, le bande degli avventurieri pensano di avere campo libero per scorrazzare nelle aree rurali approfittando della crisi e della debolezza delle comunità.
Rimaniamo noi. Pervicacemente ed ottusamente legati all’idea che il cibo, il territorio, la natura, le relazioni sociali ed umane siano prima di tutto una questione di giustizia, di democrazia, di interessi collettivi.
Rimaniamo noi, agricoltori, pastori, pescatori, braccianti che oggi scelgono la strada dell’ecroecologia e del cibo dei diritti sia perché siamo convinti della proposta della necessità della Riforma e che un’Altra agricoltura come 8un’Altra pesca ed un Altro Agroalimentare siano possibili, sia perché siamo obbligati e costretti a reagire se non vogliamo chiudere e trasfromarci definitivamente in cottimisti della speculazione e dell’agroindustria.
Per noi è il tempo diu uscire dalle nostre aziende, di scendere dalle nostre motobarche, di sospendere il lavoro quotidiano per metterci in marcia e verificare quanto oggi sia possibile costruire un’alternativa alla crisi che ci impone il modello agroalimentare dominante del nostro tempo.
Portiamo con noi le nostre pratiche positive, il senso e la dignità del lavoro, il rispetto della natura e dei suoi cicli che ci vengono affidati. Usciamo per incontrare e costruire insieme un movimento non solo di resistenza ma anche di proposta e di attacco. Perché è arrivato il momento di accettare la sfida fino in fondo e compiere la mobilitazione per noi più importante per i destini del nostro Paese: quella che dovrà decidere se nelle campagne italiane vivranno lande desolate con depositi di ferraglia, colate di cemento, quantità industriali di rifiuti e plastica, il cibo senza qualità sarà quello dello sfruttamento e un incubo per i nuovi poveri o se avremo ancora campagne vive con uomini e donne al lavoro nei campi gratificati nel reddito e nei salari e il cibo avrà il sapore dei diritti individuali, collettivi e della natura.
Per la quarta volta in vent’anni ci mettiamo in marcia, questa volta lo facciamo con tante e tanti che si stanno ritrovando nell’Alleanza Sociale per la Sovranità Alimentare. Lo facciamo per noi, per le nostre comunità, per i nostri figli, Facciamolo Insieme!
Globalizziamo la lotta, globalizziamo la speranza! Per una Nuova Riforma Agroecologica e un Paese giusto!