Care e cari,
siamo agricoltori impegnati nel lavoro duro dei nostri campi, produciamo il grano come da millenni innumerevoli generazioni hanno fatto prima di noi.
E’ grazie a noi, al nostro lavoro, alla nostra dedizione alla terra, alla nostra capacità di interpretarne i cicli naturali, di conservare, selezionare, mettere a dimora, curare, raccogliere i semi che i mugnai, i trasformatori sono in grado di offrire il pane, la pasta, le farine, le pizze, il cibo che ci nutre.
Le nostre terre sono nel centro del Mediterraneo, di quel grande spazio in cui il lavoro nostro e quello di tante comunità di agricoltori nelle sue diverse sponde, al Nord, all’Est, al Sud ha dato un contributo decisivo a edificare la civiltà del grano che è parte fondamentale della straordinaria cultura del cibo che ha reso famoso nel mondo l’Italia.
Eppure, improvvisamente, da qualche decennio abbiamo scoperto che il grano che noi produciamo (dopo aver insegnato a tanti nel mondo come farlo) non sarebbe più “di qualità”, che noi non saremmo più competitivi, che il nostro grano non è più “all’altezza degli obiettivi dell’industria”.
Lo scrivono i Ministeri quando producono i piani e le leggi nazionali facendosi dettare le regole da un’industria della trasformazione che, pur vantandosi di essere “Made in Italy” ha sempre meno legami con i nostri territori e nella sua rincorsa all’internazionalizzazione perde la capacità di valorizzare le nostre grandi caratteristiche di diversità, contenuti organolettici, valori di sicurezza alimentare.
Come le generazioni che ci hanno preceduto, lavoriamo, non abbiamo orari, non abbiamo stagioni, i tempi della nostra vita sono dettati da quelli dei campi che curiamo con impegno nella prospettiva che, alla fine della stagione agraria, il raccolto gratifichi tutto il nostro impegno. Ma non è cosi: il nostro grano, la cui quotazione è fissata dalla speculazione nelle borse merci, è pagato sempre meno
Ci dicono che “non sarebbe di qualità” come quello che invece arriva dalle grandi pianure di altri continenti dove nei latifondi industriali lo hanno prodotto spesso avvelenandolo ma con caratteristiche che rendono più facile la vita agli industriali … e non ce lo pagano costringendoci a “reggere” le nostre imprese con gli aiuti e i sostegni della PAC che ci rendono sempre più dipendenti dai soldi pubblici.
E mentre noi siamo diventati sempre più marginali, i cittadini pagano tre volte il prezzo della trasformazione che abbiamo subito: insicurezza alimentare e problemi di salute, prezzi al consumo che limitano il diritto al cibo, impatto ambientale in territori che si svuotano.
Per noi è chiaro: l’intreccio della crisi economica dei cerealicoltori, quella sociale e ambientale dei territori e delle comunità cerealicole e quella di sicurezza alimentare per tutti i cittadini è il prodotto di un modello di produzione, trasformazione, distribuzione e consumo del grano che sta fallendo ogni giorno di più.
Diverse sono le responsabilità per questa crisi del grano come di tutta la nostra agricoltura. Fra queste certamente quelle della politica che ha spinto la trasformazione con regole e leggi che rafforzano la speculazione e l’abbandono della terra, quelle delle istituzioni incapaci di attuare processi positivi e garantire controlli che pure le norme ancora in parte consentono, quelle dei diversi soggetti della filiera (sementieri, trasformatori, commercianti) troppo spesso attenti alle dinamiche speculative e finanziarie piuttosto che alla qualità ed alla sicurezza dei processi, quelle di una ricerca sempre meno indipendente e sensibile ai finanziamenti interessati dell’industria.
A questo quadro di responsabilità non sfuggono quelle degli agricoltori (le nostre) e dei consumatori che devono tornare ad assumere piena consapevolezza di quanto sia importante la qualità delle nostre produzioni, la grande responsabilità del modo in cui produciamo e la necessità di essere pienamente informati per scegliere cosa e come consumare”.
Abbiamo lottato ed abbiamo resistito in questi anni ma ora siamo consapevoli che non bastano più semplicemente la denuncia e la protesta contro questo o quello e non basta indicare e denunciare semplicisticamente il nemico in uno scaricabarile continuo di responsabilità.
Serve indicare le alternative e le soluzioni. In una fase in cui (ormai) è sufficientemente chiaro ai cittadini quali sono i rischi per la sicurezza alimentare e per l’abbandono della terra, il movimento degli agricoltori che resiste alla crisi ha per primo la responsabilità grande di passare dalla denuncia alla proposta.
Abbiamo iniziato il cammino per dare vita ad un progetto condiviso con il Primo Forum del Grano che tenemmo nel 2017 come Movimento Riscatto con il sostegno deete dei Municipi Rurali al termine di diversi anni di iniziativa , oggi siamo chiamati e chiamiamo tutti e tutte coloro che hanno a cuore la nostra cerealicoltura e il ciclo del cibo che si produce dal grano a fare un salto di qualità e organizzativo.
Siamo fra quanti hanno promosso la nascita dell’Alleanza Sociale per la sovranità Alimentare che è oggi in campo per proporre al Paese una svolta profonda riaprendo la Stagione della Nuova Riforma Agraria su base democratica, agroecologica e popolare.
Una Riforma che riscriva le regole, i comportamenti e le condizioni per cui abbia ancora un senso lavorare a terra, produrre, distribuire e consumare il cibo mettendo al centro gli interessi dei cittadini e delle comunità.
Oggi l’Alleanza per la Sovranità Alimentare convoca il Secondo Forum in Difesa del Grano per riprendere il cammino fatto in questi anni. Quale legame può essere più forte di quello di una alleanza vera sul pane di cui tutti i giorni ci nutriamo?
Noi ci siamo e invitiamo tutti e tutte a partecipare, a portare proposte in forza delle nostre diversità per fare più forti e insieme il progetto che ci porti fuori dalla crisi del modello neoliberista del cibo.
Noi ci siamo per decidere insieme su quello che ci serve: le campagne di mobilitazione per cambiare le regole, i progetti per fare rete producendo economia dalle buone pratiche per la Sovranità Alimentare, gli strumenti di cui ci dovremo dotare per rafforzare la nostra autonomia.
Ci saremo perché se il prezzo del grano non remunera il nostro lavoro, se la sicurezza alimentare e il diritto al cibo sono compromessi, se le comunità pagano i costi ambientali, allora è il tempo di raccogliere dopo la semina e di offrire il raccolto per il pane del progetto nuovo